Passeggiando per il centro storico di Vico Equense, a pochi metri dalla trecentesca chiesa della SS. Annunziata (ex cattedrale), in via XI Febbraio, si intravede la mole del Castello Giusso, struttura difensiva di epoca angioina.
La costruzione merlata, colorata di un rosa salmone molto intenso, è il risultato della ristrutturazione ottocentesca, compiuta da Luigi Giusso, ultimo acquirente di nobili origini che ha dato il nome a quell’antico maniero.
Del primitivo fabbricato, risalente all’ultimo quarto del XIII secolo, resta soltanto quella parte di cortina muraria che, insieme ad un’ ampia terrazza, poggia su uno sperone di roccia rivolto verso il golfo di Napoli.
La tradizione vuole che il castello fosse sorto per volere di Carlo II con il duplice scopo di difendere la cittadina da eventuali attacchi via mare e di usare la fortezza come residenza estiva.
É più probabile, invece, che sia stato Sparano di Bari, allora feudatario di Vico, a far edificare il bastione secondo le consuete norme di ingegneria militare: un insieme di edifici con diversa funzione (le stanze del castellano, gli alloggi dei soldati, i magazzini per i viveri e quelli per le munizioni), disposti lungo uno slargo e racchiusi in una cinta muraria.
Tuttavia è il re angioino a sostenere una parte delle spese per il completamento dell’opera, terminata alla fine degli anni ottanta del Duecento.
Nel corso dei secoli il castello, prima di diventare proprietà dei Giusso, è appartenuto a Gabriele Curiale, paggio di camera di Alfonso d’Aragona, Ferrante Carafa, feudatario di Vico nel 1568, Matteo di Capua, principe di Conca, e alla famiglia Ravaschieri, principi di Satriano, a capo del feudo equense dal 1629 al 1806, anno di abolizione della feudalità da parte di Giuseppe Bonaparte.
Negli anni ottanta del Settecento il giurista napoletano Gaetano Filangieri si trasferì al castello, accolto dalla sorella Teresa, moglie di Filippo Ravaschieri, per morirvi il 21 luglio del 1788, trovando sepoltura nella vicina cattedrale.
Numerose famiglie hanno abitato il maniero e numerose sono state le trasformazioni che ne hanno alterato l’impianto originario: nel XV secolo viene dotato di tre torri, di cui la centrale era detta “Torre Mastra”, di un fossato e di un ponte d’accesso; nel XVI secolo due torri vengono abbattute e viene costruito il palazzo baronale; nel XVII secolo viene portato avanti il restauro, iniziato un secolo prima, della parte angioina del castello.
Sono stati Ferrante Carafa prima e Matteo di Capua poi ad effettuare la gran parte dei lavori di abbellimento di quella che oltre ad essere una fortificazione era anche una residenza signorile.
Il primo arricchì il giardino di grotte artificiali, fontane e giochi d’acqua; il secondo, agli inizi del Seicento, le sale interne con preziosi arredi e inserì nella pianta del giardino alcuni locali per sistemare la sua collezione di statue e dipinti, sfortunatamente dispersa.
Con ogni probabilità, invece, la decorazione ad affresco dei saloni (il Salone delle Armi e la Sala dei Ventagli) e della piccola cappella privata si deve a Luigi Giusso, ambasciatore del Regno che nel 1822 comprò il castello per quattrocentomila ducati, e al figlio Girolamo.
La cappella, dedicata a Santa Maria della Stella, ricorda nell’intitolazione una precedente chiesetta servita dai padri benedettini, primi proprietari del terreno dove si scelse di erigere il maniero.
Negli anni trenta del secolo scorso il castello venne acquistato dalla Compagnia di Gesù, per poi essere venduto a privati negli anni settanta; oggi è aperto al pubblico solo in occasione di manifestazioni culturali.
Realizzata da: Assunta Vanacore (consulenza storico-artistica)